#GIOCODISQUADRA
Michele Pesante, entrato nel 2015 in SSF, è attualmente il coordinatore territoriale di Roma e provincia. Sposato con Tiziana, è il papà di due bellissimi figli adottivi, Fabrizio e Phloi.
Ho incontrato Sport Senza Frontiere nel 2015 ed era inevitabile che succedesse qualcosa. E non perché, come a volte mi sono sentito dire, “sono portato a fare queste cose”. Questa mi sembra più una scusa per lasciare che siano sempre gli altri ad occuparsi degli “altri”, nessuno nasce con la predisposizione al sociale. Per quanto mi riguarda in realtà si tratta di costruirsi, di sentire il bisogno altrui come un mio bisogno. Si tratta di desiderare che i periferici della società vengano messi al centro, con i loro problemi ed il dolore. Di vivere in empatia. Per me la vita va vissuta a pieno, fin dove è possibile anche le vite degli altri. E Sport Senza Frontiere mi dà ogni giorno la possibilità di farlo.
Ma cominciamo dall’inizio. Vi risparmio il mio curriculum vitae. Di lavori e di esperienze ne ho accumulati abbastanza. Sono un Terapista della Riabilitazione che per lavoro e per storia personale ha messo le mani in pasta in tante situazioni di grave disagio. Ho girato il mondo abbastanza, anche se abbastanza non è mai. Ma ho capito che la povertà non bisogna andarla a cercare per forza lontano da casa, spesso è dietro l’angolo se non addirittura sul tuo pianerottolo.
Trovarsi così a coordinare un centro estivo non residenziale dove i beneficiari erano una trentina di ragazzini provenienti da situazioni di estrema povertà è stato abbastanza naturale. Mi ricordo tutto di quella esperienza, i volti, i nomi, le storie. Andavamo con il pulmino di SSF a prendere i bambini in un edificio adibito a residence. L’odore non potrò mai scordarlo. Le autorità avevano deciso di sistemare le famiglie Rom Sinti accanto alla discarica dell’Ama. Un grandissimo hangar di un vecchio stabilimento del Poligrafico, diviso con delle paratie per creare degli “alloggi”. Nuclei di 6/7 persone in circa 25 mq.
Cucine all’aperto alla mercè dei topi, servizi igienici solo nel nome. Tutto sotto lo stretto controllo di una cooperativa con degli operatori disarmati, non in senso figurato. Se a questo aggiungi i conflitti inter etnici, il caos totale è l’immediata conseguenza. Non mi stupiva il fatto che quando arrivavamo con il pulmino decine di bambini ci si facevano attorno supplicandoci di portarli via. Scene che puoi vedere nei villaggi subsahariani, in fondo i bambini sono bambini in tutto il mondo, si aggrappano alla speranza che qualcuno li salvi!
Già dall’autunno successivo, sono diventato uno degli educatori del progetto. In questi anni mi sono stati affidati tanti ragazzi. Minori che attraverso lo sport cercavano se stessi, l’autodeterminazione. Chi sei? Sono un giocatore di Rugby! Chi sono i tuoi amici? Sono i miei compagni di squadra. Cosa vuoi fare da grande? Continuare a fare quello che faccio da piccolo…
Si potrebbe dire che ho seguito così tanti minori da perderne il conto, invece no. Il conto non l’ho perso. Perché mi ricordo di ognuno di loro. Fino all’estate del 2017 la mia vita si è incrociata con quella di 93 minori seguiti da Sport Senza Frontiere, chiedetemi pure nome e cognome.
Ho avuto l’onore e la soddisfazione di essere responsabile del progetto più ambizioso, Golf Senza Frontiere.
Ce li vedete 15 ragazzini di Tor Bella Monaca e dintorni entrare in una Club House, sfrontati e titubanti? Vi assicuro che è stato un percorso entusiasmante. Su ognuno di loro abbiamo investito un pezzetto di cuore e cervello. Sognando e realizzando quello che altri nemmeno immaginavano.
Può una ragazzina palestinese, proveniente da un centro di accoglienza dell’estrema periferia romana diventare una giocatrice abilitata di golf ed anche assistente di un maestro durante le lezioni? Vi dico che è possibile. Non tutti hanno portato a termine il progetto, ma chi lo ha fatto ha vinto insieme a noi.
La vita della Onlus cominciava a nutrirsi di tantissime occasioni di incontro e di eventi, c’era bisogno che qualcuno se ne facesse carico. Mi viene chiesto di coordinare insieme a Giorgia e Roberta tutte le attività di raccolta fondi ed eventi della Onlus. Mi butto in questa avventura non senza preoccupazioni. Non volevo uscire dal progetto, perdere il contatto con i “miei” ragazzi. Infatti non succede e continuo a seguire Golf Senza Frontiere. Faccio del mio meglio per gli eventi, qualcuno dice che le qualità organizzative non mi mancano. Ma la testa e il cuore vanno sempre altrove…
Così nasce Joy Summer Camp! È l’estate del 2017. Centro estivo residenziale al Terminillo. In 3 edizioni ha accolto 750 minori. Una vera bomba, un esperimento sociale pazzesco. Joy nasce per dare fiato e vita ai ragazzi del Centro Italia colpita dal terremoto, ragazzi che avevano perso ogni riferimento. Famiglie spaccate, amici lontani. Niente scuola nè oratorio. Non si poteva più giocare neanche per le strade, erano ricoperte da macerie.
A loro si sono aggiunti i tanti minori seguiti da Sport Senza Frontiere a Roma, Napoli e Milano. Poi tanti altri hanno partecipato a vario titolo. Penso soprattutto ai ragazzi di Genova che vivevano nei quartieri adiacenti al Ponte Morandi. Che emozione il giorno che sulla piazza del Terminillo ci siamo abbracciati attorno a Diana (una ragazza non vedente di Genova) promettendoci che saremmo rimasti amici per sempre.
Joy si è preso un pezzo del mio cuore, e il bello è che non lo rivoglio indietro.
Oggi coordino il progetto di Sport Senza Frontiere a Roma, dentro al quale facciamo tantissime attività. E’ una responsabilità grandissima il cui peso non potrei mai portare da solo. Per questo la mia gratitudine va a tutto lo staff di Sport Senza Frontiere. Questo meraviglioso affresco, direi un mosaico fatto di migliaia di tessere. E dentro ci siamo tutti. Dagli accompagnatori, agli educatori. Un grazie particolare va ai volontari. A coloro che si occupano della raccolta fondi per finanziare i tanti progetti. A chi ci mette sempre qualcosa in più di quanto deve, a chi lo fa con la passione della giovinezza anche quando la giovinezza è un lontano ricordo. Grazie a chi ci mette la testa, a chi pensa.
A voi, noi tutti va il loro sorriso, felice come il sorriso di Manar.