”La mia esperienza come educatrice di Sport Senza Frontiere inizia nel 2013 quando, da poco laureata in Scienze Politiche, sono entrata in contatto con la onlus tramite la Comunità di Sant’Egidio, dove ho sempre fatto la volontaria occupandomi delle Scuole della Pace. Era il 2013, SSF era stata fondata solo da due anni. Da quel giorno non me ne sono più andata. Fare l’educatore è diventato il mio lavoro, ed adesso sono vice-coordinatrice di SSF a Roma e nel Lazio.
Un concetto che mi ha sempre convinta della mission di SSF, ben spiegato nel nostro Manifesto dei Valori e applicabile anche a me stessa come collaboratrice della onlus, è quello della “permanenza”. I benefici dello sport in termini di crescita, benessere psico-fisico e inclusione sociale si possono vedere solo se il minore inserito in un corso sportivo rimane il più a lungo possibile nella stessa società sportiva nella quale è stato accolto. Questo, per noi, vuol dire “presa in carico”. Lo sport è lo strumento primario, la leva per entrare in empatia con il minore e la sua famiglia, poi arriva tutto il resto: il counselling psicologico, le visite mediche, il monitoraggio dei risultati. Tutto questo per un periodo di tempo che non è mai inferiore a tre anni.
Ma c’è molto di più. Negli anni abbiamo assistito ad un fenomeno che i fondatori di SSF sicuramente avevano auspicato, ma che nessuno pensava sarebbe accaduto in maniera così naturale.
Molti dei bambini e bambine che nel frattempo sono cresciuti e quindi sono usciti dal programma Sport Senza Frontiere sentono l’esigenza di “restituire” quello che hanno ricevuto. E’ stato così per Daria (bilingue grazie alla mamma) che è stata fondamentale come mediatrice linguistica con i bambini ucraini inseriti nel progetto JOY. Oppure Alì, Hilda, Nermin….
Così dagli psicologi di SSF è stato messo a punto il progetto di “Peer to Peer” (Educazione tra pari), una metodologia didattica che si basa su un processo di trasmissione di conoscenze tra i membri di un gruppo alla pari, volto ad aiutare a rafforzare l’autostima e facilitare l’apprendimento. Tradotto nel caso di SSF, significa che i bambini ex-beneficiari del programma o che hanno partecipato al nostro progetto estivo JOY, sono scesi in campo per affiancare come tutor noi educatori.
Per me che li ho seguiti nel tempo, assistere a questo processo è stato motivo di gioia e orgoglio, vederli trasmettere ai bambini più piccoli la cura e l’amore ricevuto con altrettanto trasporto è stato commovente. Non sempre è stato facile per loro intervenire su minori che avevano subito traumi importanti, (come nel caso dei minori ucraini che fuggivano dalla guerra), ma ho potuto vedere in ognuno di loro la volontà di portare serenità, sorrisi e gioco nella vita di ragazzi e ragazze loro coetanei o di poco più piccoli. E questo lo hanno fatto mostrando una maturità, senso di responsabilità e senso civico ammirevole, trasmettendo con gioia quanto ricevuto e affidandosi nei momenti di difficoltà ai consigli e alla nostra guida.
Quest’anno i minori coinvolti nel progetto di Peer Education sono stati 13 a Joy Summer Camp, 12 al Joy Point di Villa Fassini, 4 a Joy Nature. Mi sono sentita appagata del mio lavoro, perché vedere concretizzato su di loro il nostro progetto, vederlo diventare reale, tangibile, ti dà la spinta per continuare a fare con ancora più convinzione, passione e professionalità. Perché il nostro lavoro richiede professionalità ma anche tanto cuore e coinvolgimento emotivo e queste cose vengono alimentate soprattutto toccando con mano e con gli occhi il risultato finale degli sforzi fatti. ”
Geralda Xhameta
Vice coordinatore Roma e Lazio