Nella vita di Alessandro è proprio il caso di dire che la differenza l’ha fatta lo sport, e uno sport in particolare: il rugby. Quando la sua insegnante ce lo ha segnalato, era seguito da una psicologa e, a scuola, da un’insegnante di sostegno. Era un bambino molto intelligente ma iperattivo ed inquieto, a causa verosimilmente di una situazione familiare ed economica complicata. Papà italiano e mamma giamaicana, una sorellina piccola, Alessandro (detto Alex) vive il divorzio dei genitori e rimane col papà e la nonna materna, dopo che la mamma riparte per il suo paese di origine. La raggiungerà solo qualche mese durante l’estate, ma al suo rientro Alessandro perdeva la cognizione delle regole imposte dal padre e mostrava irrequietezza.
Abbiamo capito subito che il rugby avrebbe dato a questo bambino quello che gli serviva: un contenimento vigile ed affettuoso, compagni di squadra coesi, regole chiare e certe e un grande sfogo fisico.
All’inizio non è stato facile. Alex faceva molti scherzi ai compagni e non rispettava le regole, né sul campo né fuori. Era il suo modo di relazionarsi, di mettersi in mostra. Ma la strada era quella giusta. Alex era straordinariamente dotato dal punto di vista fisico e il suo spirito combattivo portava risultati durante le partite. I compagni hanno iniziato a vederlo come un elemento indispensabile alla squadra, veloce, dinamico, generoso e gli sforzi congiunti e costanti dei suoi mister, sempre in contatto con il nostro staff e papà Marco hanno fatto il resto.
Via il sostegno a scuola, via le sedute con la psicologa: c’era solo il campo, sempre e solo il campo, gli allenamenti durante la settimana e le partite il sabato, trasferte comprese, con tutti i climi e tutte le temperature.
Nel tempo Alex ha acquisito sempre più autonomia: nell’ultimo anno raggiungeva gli allenamenti da solo con i mezzi pubblici, dimostrando una distinta capacità di pianificare ed organizzare i propri compiti.
“Nel rugby gli avversari sono amici e nemici allo stesso tempo”, ci ha detto una volta al ritorno da una trasferta con la squadra, facendoci capire che con lui avevamo proprio raggiunto l’obiettivo che ci eravamo posti.
A 15 anni Alex, dopo 8 anni di intensa attività sportiva agonistica, esce dal progetto di Sport Senza Frontiere, in modo da consentire ad un altro bambino di fare il suo stesso percorso.
Ma non smette di fare sport. Chiede al papà di iscriverlo ad una scuola di calcio, la sua seconda passione. Il papà, riconoscendo allo sport tutto il valore che merita, trova il modo di pagare la sua retta, facendo qualche piccola rinuncia sul budget familiare. Appena può, come faceva col rugby, lo va a vedere agli allenamenti e spesso (almeno fino a quando si poteva) li si può vedere giocare a calcetto insieme.